È rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c e f-bis, d.lgs. n. 50 del 2016.
Con una recentissima ordinanza, la V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria una fra le più dibattute questioni in tema di partecipazione alle gare d’appalto ovverosia la consistenza, la perimetrazione e gli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura di gara.
In particolare la Sezione chiede all’Adunanza Plenaria di esprimersi anche sugli effetti di tali obblighi e sui presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa.
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Sintesi delle questioni
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Il collegio ricorda come, sotto un profilo generale, le irregolarità di carattere dichiarativo sono normativamente definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l’”integrità” e l’”affidabilità” del concorrente.
Nel contesto dell’evidenza pubblica, proprio delle procedure di gara, l’obbligo dichiarativo viene presidiato dal “principio di correttezza” (cfr. art. 30, comma 1 del Codice) da cui deriva un particolare, e più qualificato, obbligo di professionalità che si impone agli operatori economici che intendano accedere al mercato delle commesse pubbliche:
la quale vale a conferire speciale ed autonomo rilievo, presidiato dalla sanzione espulsiva, alla omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, di cui fa espressa parola la lettera c-bis del comma 5, ad finem, sintetizzandone la complessiva ratio.
Nell’ottica di perseguire quella “determinatezza” e “ragionevole prevedibilità” delle regole operative e dei doveri informativi a cui l’operatore economico dovrebbe conformarsi, il Collegio s’interroga sulla rilevanza che dovrebbero avere quei casi ove le informazioni vengono “omesse” ovvero vengono rese in maniera “reticente“, per le quali occorre distinguere
il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé – cioè in quanto illecito professionale in sé considerato – l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).
Il problema, dunque, è quello di conferire determinatezza e concretezza all’elemento normativo della fattispecie, per individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione.
Viene ricordato, ancora, come di recente e da ultimo, la giurisprudenza ha ritenuto che
l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali avesse carattere meramente esemplificativo, potendo, per tal via, la stazione appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa se stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità (cfr. ex permultis, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; id. 25 gennaio 2019, n. 591; id. 3 gennaio 2019, n. 72; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231).
È evidente che, nella suesposta prospettiva, gli obblighi informativi decampano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza:
di dal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.
In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, sez. III, 23 agosto 2018, n. 5040; id., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063; id., sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266), la giurisprudenza ha interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il rigoroso significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; id. 25 luglio 2018, n. 4532; id. 19 novembre 2018, n. 6530; id., sez. III, 29 novembre 2018, n. 6787).
Viene, infine, osservato come la
distinzione tra dichiarazioni false (che importano sempre l’esclusione) e dichiarazioni semplicemente omesse (per le quali si pone l’illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell’automatica esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante) trae fondamento dal rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell’accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo: cfr. art. 64 cod. proc. amm.).
La dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente.
Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa.
Cons. St., sez. V, ord., 9 aprile 2020, n. 2332 – Pres. Caringella, Est. Grasso