Con la (più volte) preannunciata sentenza del 26 settembre scorso, la V sezione della Corte di Giustizia ha dichiarato che
La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici (…) deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
Prima di arrivare a rapide conclusioni, che potrebbero divenire persino superficiali, è opportuno far attenzione anche ad alcuni passaggi della pronuncia.
In particolare (cfr. punto 37) la Corte ha ricordato come quest’ultima avesse già dichiarato che
<<il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28).>>.
Ciò nonostante, ha ritenuto che l’automatismo imposto, specie con il nuovo D.Lgs. 50/16 ove il limite del 30% (ora 40% fino al 31/12/2020) è riferito all’intero importo del contratto (diversamente a quanto accadeva nel previgente D.Lgs. 163/06 ove tale limite, nei lavori, si applicava al solo valore della categoria prevalente – restando, quindi, subappaltabili al 100% – salvo poche eccezioni – le restanti categorie scorporabili), sia una
restrizione (…) (che) eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.
A tal riguardo, occorre ricordare che, durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 18 della direttiva 2014/24, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità (sentenza del 20 settembre 2018, Montte, C‑546/16, EU:C:2018:752, punto 38). – (cfr. punti 38 e 39)
La normativa italiana, invero, vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori.
E come i cultori del diritto Comunitario ben sapranno…la CORTE RIFIUTA GLI AUTOMATISMI, e non perde occasione per ricordarcelo (vedasi, in idem, l’avversità della Corte nei confronti del meccanismo dell’automatica esclusione delle offerte anomale).
La Corte conclude sottolineando come
<<misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano, al pari di quelle previste dall’articolo 71 della direttiva 2014/24 (…). D’altronde, come indica il giudice del rinvio, il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.>>
La Corte, dunque, chiarisce che:
- il divieto, generalizzato, al subappalto (pari al 30%) è eccessivo rispetto all’obiettivo dichiarato (contrasto all’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici);
- l’obiettivo dichiarato dal legislatore nazionale potrebbe essere raggiunto con misure meno restrittive (p. es., cfr. punto 29 della sentenza: chiedere all’offerente di informare la Stazione Appaltante sulle intenzioni di quest’ultimo in materia di subappalto, trasferire i pagamenti dovuti all’appaltatore direttamente al subappaltatore, obbligatorietà della verifica se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori a norma dell’articolo 57 di tale direttiva relativi in particolare alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode);
- la valutazione dovrebbero avvenire “caso per caso”, “settore per settore” in considerazione della natura dei lavori e dal settore economico interessato, e non in astratto, generalizzata ed automatica.
Leggi la sentenza C-63/18 del 26/09/2019 (clicca qui)